“Autoanalisi, Gustav, qui si fa dell’autoanalisi.” (Remo Remotti interpretando Freud no filme Sogni d`oro (1981), dirigido por Nanni Moretti)
Caros tradutores,
A intenção deste pobre livreiro jamais será a de ofender o tradutor. Considere-me o maior admirador do trabalho de tradução, e este trocadilho famoso e sonoro (traduttore, traditore) acabou tornando-se uma homenagem às avessas a esse profissional que tanto admiro.
Há muito me chama a atenção o fato de que na grande maioria dos sites de livrarias e editoras o tradutor nem sempre é mencionado. Resolvi então, em 2010, adicionar a opção de realizar uma pesquisa por tradutor em nossa base de dados, como esta com todos os livros que temos cadastrados cuja tradutor é o grandioso Boris Schnaiderman: http://30porcento.com.br/busca.php?tradutor=Boris+Schnaiderman
Além disso, rececebi muitos emails acusando-me de estar contribuindo para a perpetuação do preconceito que existe em relação ao tradutor. Minha nossa… o objetivo era o oposto! A traição é sarcasmo, subversão de uma língua, de um tempo histórico e de um contexto social. Nosso público não é a massa que consome os best-sellers e autores populares, por isso achei que estivesse me dirigindo como amigo aos queridos tradutores. Além de dar ao site da livraria uma aparência menos institucional, com um pouco menos da sisudez de sempre: “Título do Livro, Sobre o autor, Sobre o tradutor, Comprar, Frete, bla bla bla”.
O texto citado abaixo não foi escolhido para defender o uso da expressão mas sim para esclarecer aos leitores a origem da polêmica. “Nessuna tradisce veramente l’originale, ma tutte invece lo interpretano più o meno acutamente”: é isto que tem que ficar claro para todos; não há traição, já que “nessuna traduzione è sbagliata in sé”, mas há um traidor: o tradutor-intérprete, armado com “un momento storico ben preciso” que se defronta com a “impossibilità teorica di una traduzione” e nos fornece uma obra inteiramente nova. Ou será que só porque podemos ler um texto no original deixaremos de recorrer à tradução?
Traduttore, Traditore
“Più che un riconoscimento del lavoro del traduttore, sembra che nell’ultimo secolo si sia diffusa piuttosto la voglia di sminuirne definitivamente la funzione di mediazione conoscitiva. La fortunatissima formula sentenziosa traduttore/traditore, risalente all’arguto e puntiglioso Vittorio Imbriani, che la usa per la prima volta nel 1869, riferendola ad Andrea Maffei, traduttore di Goethe, Schiller e Gessner nonché di Milton e Shakespeare, è assurta ormai a luogo comune. Non c’è infatti occasione quotidiana o dotta, nella quale essa non venga ripetuta con apodittica conclusività, a scorno dei traduttori, accusati a posteriori non soltanto di essere erranti, ciò che invero si sapeva già a priori, ma anche di sbagliare proditoriamente, di tradire, ovvero di perseguire un piano perverso in piena coscienza, per ignoranza della lingua straniera o per incompetenza nella propria lingua. Non ho alcuna difficoltà ad ammettere che la definizione traduttore/traditore sia un’asserzione di indubbia quanto ingannevole efficacia, perché suggerisce, nella sua formulazione brevissima e assonantemente simmetrica, un intrinseco carattere di verità che, a ben guardare, risulta però molto meno convincente di quanto non lo sia a prima vista.
La formula traduttore/traditore ha valicato i confini della lingua italiana e viene usata anche in altri contesti linguistico-culturali, quando si vogliono sottolineare errori, sviste o imprecisioni in una traduzione di qualsiasi tipo oppure solo rilevare il carattere necessariamente riduttivo di ogni trasposizione linguistica rispetto all’originale. L’impossibilità teorica di una traduzione è definita come tradimento pratico del messaggio. Nel caso poi della traduzione di poesie si avrebbe addirittura un doppio tradimento: a danno della lingua e a danno della poesia in sé. Essendo la formula “traduttore / traditore” davvero troppo semplicistica, si potrebbe sostituirla, se proprio si vuole un binomio sentenzioso, con la coppia “traduttore / interpretatore”. Le condizioni per una revisione in questo senso ci sarebbero, poiché esiste in italiano oltre alla definizione del traduttore, sacro e santo, proposta da Garzoni nel 1585, anche la definizione concisa di interpretatore, sia quale interprete, esegeta e critico sia quale traduttore:
Se la pura translazione dei settanta interpretatori, e come da essi fu translata in greco, istesse, […] invano mi provocheresti che i libri ebrei io recassi in latino sermone.
In tutta coscienza dubito che una simile soluzione possa avere successo, perché i luoghi comuni, anche quelli più vieti e illogici, sono rassicuranti come la saggezza spicciola dei proverbi. Essi garantiscono di fatto la conservazione dell’esistente e la salvezza della tradizione, qualunque essa sia. Si continuerà quindi a dire “traduttore / traditore” per pigrizia intellettuale, pensando di fare bella figura con una formula chiara e concisa. Qui è stato sufficiente aver sollevato il problema, partendo dal Garzoni, senza la pretesa di trovar subito un consenso generale.
A rigore, e anche se può sembrare un paradosso, si può affermare in via preliminare che nessuna traduzione è sbagliata in sé. Nessuna tradisce veramente l’originale, ma tutte invece lo interpretano più o meno acutamente, in un momento storico ben preciso, non diversamente da quello che fa, più o meno bene, lo studioso di letteratura quando analizza una poesia. Anche le interpretazioni vengono superate dai tempi, poche rimangono attuali. Nessuno però si sognerebbe di considerare un’interpretazione delle poesie di Petrarca o Campanella un tradimento dell’originale, solo perché essa è un’analisi non più del tutto convincente alla luce di nuove acquisizioni filologiche oppure di diverse premesse metodologiche. Questa benevolenza che relativizza e storicizza i giudizi di valore, quando si tratta di interpretazioni critiche, sembra non essere prevista per l’opera di un traduttore, quasi che il suo lavoro con parole e immagini fosse metastorico, quantitativo e non anche qualitativo, condizionato anch’esso da fattori storicamente definiti.
Pur essendo fin dall’antichità le critiche al lavoro traduttivo maggiori delle lodi, sono a tutt’oggi ancora troppo poche le analisi concrete del lavoro di traduzione, partendo dalle scelte linguistiche operate in un determinato contesto letterario. Senza quest’immersione nei meandri del laboratorio linguistico del singolo traduttore, al fine di cogliere meglio il perché di una scelta traduttiva invece di un’altra, ogni asserzione su impotenza e miseria della traduzione appare un po’ fuori luogo: ignora la complessità del problema e se la cava con una battuta sferzante.”
fonte: BATTAFARANO, Italo Michele. Dell’arte di tradur poesia. Berna: Peter Lang, 2006. Página 16.